“I miei piatti non devono essere interessanti o divertenti. Non faccio nessun tipo di impiattamento. I miei piatti sono romantici.”
La chiacchierata con Paolo D’Ercole si è trasformata in pochissimi istanti da intervista a fiume in piena di ricordi, emozioni e sogni.
Paolo è romano, studiava lettere e faceva il cameriere fino a quando, a 27 anni ha scelto di abbracciare la sua vocazione e iniziare il suo percorso in cucina.
Ora Paolo di anni ne ha 39 e il 15 gennaio, a Torpignattara, apre Eufrosino Osteria, un progetto che verte interamente sulla semplicità, sulla convivialità e sulla riscoperta continua della cucina regionale.
La cucina di Eufrosino è priva di particolari macchinari ormai tipici di ogni ristorante e si concede giusto il “vezzo” di un abbattitore e della brace. Una vera cucina convenzionale dove qualsiasi piatto proposto è replicabile nella casa di ognuno di noi.
Eufrosino nelle parole di Paolo è “il romanticismo per la cucina e il feticismo per la ricerca nel passato del territorio italiano”. Paolo si definisce un autodidatta e prima che io possa fargli qualsiasi domanda, la domanda me la pone lui e mi spiazza:
“Tu per mangiare una buona minestra a Roma dove vai?” mi chiede.
Mi coglie in contropiede, esito a rispondere e mi risponde lui: “non so più dove andare a mangiare una buona minestra a Roma, il cucchiaio ormai si tiene in mano solo per i dolci!”.
Paolo è un mangione vero e un iperattivo. Ama muoversi e prima di aprire Eufrosino Osteria, con la sua compagna, hanno girato tutte le regioni d’Italia in moto. Un viaggio attraverso i piatti tipici ma anche attraverso i ricordi, le contaminazioni, i disusi, le ricette raccontate, tramandate a voce e scritte da nessuna parte.
Eufrosino Osteria è anche questo viaggio qui, quello delle tavole dell’infanzia, quello dei pranzi della domenica nelle case di provincia. Il menu è mensile (qualche volta addirittura bisettimanale) e ci sono fisse (sempre) almeno due minestre, dall’acqua cotta co l’ovo sperso alla ribollita. Per Paolo non c’è niente di più evocativo del ragù bolognese o del pasticcio di cappelletti al forno.
Paolo non solo è entusiasta per tutti gli italiani che si stanno cimentando ai fornelli in grandi piatti tradizionali in queste settimane, ma addirittura ci consiglia un piatto ideale per questa quarantena: il peposo! E anche qui, oltre alla carne tagliata a pezzettoni, il pepe, l’aglio e il vino rosso c’è tutta una storia di operai, di cupola del Brunelleschi a Firenze… romanticismo once again!
Come si sta preparando alla riapertura? Studiando come un matto! Il libro che sta leggendo in questo momento è qualche cosa dal nome folle sulle confraternite italiane del cibo… sì, avete capito bene.
Io ormai sono alle lacrime: ho riso tanto ma mi sono anche un po’ commossa. In particolare mi ha colpito un racconto: poco più di un mese dopo l’apertura, nel bel mezzo di un pranzo della domenica, i clienti di due tavoli diversi, che a inizio pasto non si non si conoscevano, avevano deciso di scambiarsi i piatti per poter assaggiare tutto. Questo è solo uno dei racconti in cui Paolo mi spiega l’abbraccio del quartiere che ha accolto lui e la sua brigata e tutta la gratitudine che prova.