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Claudia Magenta e quell’antica voglia di semplicità

Fin da piccola Claudia Magenta ha avuto due grandi passioni: la musica ed il buon cibo. Quando entrava nella cucina della sua bisnonna tutto diventava magico. E’ lei che le ha spiegato quale fosse “il prezzemolo buono per la salsa verde”, lei che la spediva dai suoi “fornitori di fiducia” a comprare il pan grattato o i pomodori che le piacevano. Dopo una vita passata a far merenda con una fetta di pane fritta nell’olio, come si fa a non amare il buon cibo?

Da adolescente però Claudia si è avvicinata ad un altro mondo, quello della musica, che per la prima parte della sua vita è stato il suo vero obiettivo, la carriera cui aspirava. Per un po’ il sogno si è realizzato e Claudia ha lasciato le Marche per trasferirsi a Roma, ma ben presto ha capito che in realtà ciò che davvero poteva farla sentire realizzata, lavorativamente parlando, era il mondo del food. Così è nato il Mangiadischi, la sua trattoria moderna.

Claudia ha mantenuto il gusto per le materie prime di qualità, aggiungendoci un suo approccio etico, delle linee guida imprescindibili per una cucina popolare moderna, genuina, gustosa, ma anche a basso impatto ambientale. Perchè il vero obiettivo è “andare a casa a dormire sereni e non a contare i soldi”.

Facciamocelo spiegare meglio da lei. Ecco cosa ci ha raccontato Claudia Magenta nella nostra chiacchierata.

 

Un’antica voglia di semplicità. Intervista a Claudia Magenta

 

Ciao Claudia, ci parli di te?

Vengo dalle Marche, da Ascoli Piceno, e sono arrivata a Roma per studiare lettere e filosofia con indirizzo dams, perché vedevo il mio futuro nel mondo della musica. La musica è sempre stata la mia passione insieme al cibo. Mi sono laureata, ma col passare del tempo ho capito che la musica non mi stava dando quello che cercavo. Mi sono allontanata da quel mondo e mi sono dedicata alla mia passione per il cibo.

Questo è successo una decina di anni fa, da lì piano piano per una serie di fortunati eventi, di incroci, di persone, sono riuscita a coronare il sogno di aprire un mio ristorante. La musica è diventata la mia passione ed il cibo un lavoro. Anche per questo il mio ristorante si chiama il Mangiadischi.

Come è nata la tua passione per il food?

La mia passione è nata quando ero piccolissima. Ho avuto una tradizione familiare importante. Ho avuto la fortuna di conoscere la mia bisnonna, che è stata la progenitrice della tradizione culinaria della mia famiglia.

Già da piccola ho conosciuto materie prime di qualità, la mia bisnonna mi ha insegnato a fare selezione. Mi mandava a prendere il prezzemolo buono dai suoi “fornitori di fiducia” perché doveva fare la salsa verde o il pan grattato che le piaceva, i pomodori…già da piccola sono stata ben educata ad affinare il palato per renderlo ricettivo a sapori di alta qualità.

La mia bisnonna non era nella ristorazione, ma era appassionata ed ha sempre girato per ristoranti. Quella è stata la mia scuola, ho imparato a mangiare tutto ovunque io fossi. Non sono la tipica italiana che va a mangiare italiano anche all’estero perché ha nostalgia, mi piace sperimentare.

 

Riscoprire i piatti dimenticati

 

Il tuo tipo di cucina è legato alle tue origini e quindi alle Marche o spazia?

Mi piace definire la mia cucina una cucina popolare contemporanea. Quello che cambia rispetto alla cucina popolare di un tempo è che adesso c’è tanta contaminazione. Ovviamente le mie nonne non sono cresciute mangiando cinese, giapponese, kebab o messicano, io sì. Ho le mie radici forti, che sono le fondamenta su cui costruisco i miei piatti, che sono molto contaminati con tutto quello con cui io sono cresciuta e quello che ho intorno.

Reputo straordinario il sushi, l’unione di due elementi crudi che poi però in bocca sono un’esplosione di sapore. L’origine marchigiana c’è però adesso, a quarant’anni, mi sento di dire che la mia cucina non è solo quello.

Claudia, cosa rappresenta per te la cucina popolare?

Rappresenta la rivalutazione degli ingredienti poveri e dimenticati. A Roma purtroppo quando si parla di cucina popolare si pensa esclusivamente al quinto quarto o alla trippa, a me piace lavorare anche le verdure o il pesce povero. Tendenzialmente non lavoro il quinto quarto perché non mi piace, non perché sia contraria.

Sono contraria all’uso dei cuccioli: non uso vitello, agnello, maialino, tutto quello che secondo me è sbagliato eticamente non lo lavoro. Un piatto che mi ha sorpreso ad esempio sono le sarde, con una base di cipolla, una ricetta semplice. Pensavo di non avere una risposta proponendola ai clienti e invece deve aver svegliato in loro un’antica voglia di semplicità. L’ho finite e neanche me ne sono accorta.

Accanto alle carni ed ai formaggi, cerco di usare cose più popolari per mantenere anche un prezzo più umano. Spesso si riscontra una grande esibizione di tecnica, anche con elementi poveri, che però poi al cliente finale costa. A me piace pensare che il prezzo debba essere accessibile nonostante le materie prime ricercate.

 

Materie prime genuine, l’etica del cibo

 

Come scegli le materie prime?

Vado tutti i giorni a fare la spesa al mercato, in pescheria. Cerco di portare in tavola tanti piatti dimenticati. Uno dei piatti che ho riproposto è la Fetta gajarda, una ricetta che mi preparava mia nonna per merenda: una fetta di pane fritta nell’olio alla quale si cambia condimento. Da noi va per la maggiore, è la nostra bruschetta.

A Roma ho conosciuto persone e creato connessioni. Si è innescato un percorso virtuoso, una catena di persone che lottano per avere prodotti autentici e genuini. Ad oggi le grandi produzioni cercano di asfaltarci il palato ed i gusti con sapori e ingredienti di dubbia provenienza. La mia buona educazione alimentare è stata fondamentale, poi il resto l’ha fatto l’esperienza.

Come nascono le tue ricette? Parti da una ricetta della tradizione o vedi un ingrediente e ti ispiri?

Entrambe le cose. La ricetta può nascere da un ingrediente con cui mi viene in mente di scardinare un cliché. Siamo abituati ad esempio al prosciutto e melone o prosciutto e fichi, ma perché non variare con altra frutta? O sostituire il prosciutto col pesce? Mi piace partire da una ricetta classica e magari scardinarla aggiungendoci cose. Ricette che vanno tanto da noi sono, ad esempio, i fagiolini con le pesche o il pesce col melone.

Magari nel poke siamo abituati ad accostare ingredienti particolari e invece nella cucina popolare no, invece può nascere un’esplosione di sapori, un piatto divertente, buono e nuovo.

Cambio il menù tre-quattro volte l’anno perché seguo la stagionalità dei prodotti, sia delle verdure che del pesce. Ci piace rispettare gli standard e cambiamo spesso, anche perché ci piace variare. Mi piace dare spazio alle verdure perché nella maggior parte dei ristoranti non si trovano più o si trovano solo come contorno e invece mi piace pensare che possano essere protagoniste.

Abbiamo un piatto molto rappresentativo che si chiama La Caciara, che è una sorta di ricetta svuotafrigo, unisce tanti tipi di verdure, è un “misto senza pregiudizi di verdure ripassate in padella”.

 

Il Mangiadischi, Claudia ed uno staff prezioso

 

Come è nato il Mangiadischi?

Dopo un po’ che mi sono trasferita a Roma, a Montesacro, ho conosciuto i miei soci Marco ed Andrea. Ci siamo trovati subito. A loro piaceva la mia cucina e ci siamo detti: “Perchè non aprire un locale insieme?”

Così è nato il Mangiadischi, la nostra trattoria moderna. Moderna non perchè creiamo un bell’impiattamento o perchè rendiamo moderni i piatti della tradizione, ma perchè ci rivolgiamo ad un pubblico contaminato, di varie culture, varie etnie, vari gusti. La nostra cucina abbraccia più persone possibili. Il nostro unico assunto è che “Less is more”, mettiamo meno ingredienti ma di elevata qualità.

Se il Mangiadischi è quello che è oggi non dipende solo da me, ma anche da tutti i produttori, dai miei soci e dai ragazzi che mi aiutano in cucina ed in sala. Senza di loro un ristornante ed un laboratorio come il nostro non sarebbe così speciale. E’ uno staff di persone fantastiche, che crede nei miei stessi valori e se ne fa portavoce.

Se mi posso permettere, vorrei dire un immenso grazie a tutti loro. Luigi, mio fratello. Ibbra e Moni per la cucina. Per la sala Paolo, Annalisa, Camilla. Flavia, la mia dolce metà che rende speciale ogni momento. I miei soci Marco e Andrea. La nostra unione fa la nostra forza!

Qual è il vostro cliente tipo?

Abbiamo un bel bacino d’utenza. Una cosa che capita, che mi riempie di gioia, è quando qualche ragazzo dopo essere venuto torna con i genitori. I genitori vengono e poi magari tornano con gli amici. È il più grande complimento. I genitori dai 60 anni in su sono quelli ancora scettici verso la ristorazione attuale perché la qualità si è abbassata drasticamente e non capiscono un certo tipo di cucina più tecnica.

La mia è una cucina di pancia che ricorda un po’ quella di un tempo, piace a tutti perché non è di moda e di estetica, ha un range vasto.

 

La curiosità che fa la differenza

 

Che effetto ha avuto il Covid sulla vostra attività?

Ci siamo dovuti reinventare. Abbiamo aggiunto gli hamburger perché non potevo fare la burro e alici o la carbonara da asporto. Per me i panini e gli hamburger sono piatti di tutto rispetto, ovviamente fatti con tutte materie prime di altissima qualità.

Abbiamo avuto un grandissimo successo, perché nonostante la concorrenza intorno quando la qualità parla chiaro anche i palati più addormentati si risvegliano. Non abbiamo potuto toglierli dal menu una volta finito il lockdown.

Lavorando con materie prime locali non abbiamo avuto un fortissimo rincaro dei costi ed abbiamo potuto mantenere sia qualità elevata che prezzi contenuti e questa cosa ci ha premiato.

Claudia, quali sono i tuoi punti di riferimento culinari e musicali?

Potrebbe sembrare poco modesto, ma non ne ho. Mi piace pensare che tutto ciò che creo non è copiato. Ho mille posti dove vado a mangiare che mi piacciono e mi danno stimoli, ma non ho una persona di riferimento. Tutti mi danno qualcosa.

La cucina che mi piace di più è sicuramente quella giapponese, perchè nella sua semplicità è la più difficile. E’ una cucina antica e sacra. Il male della nostra società è l’all you can eat.

 

Per quanto riguarda la musica invece, a sedici anni avevo un gruppo strumentale, facevamo rock progressive alla Jethro Tull e King Crimson. Non ti saprei dire il mio genere preferito però, ti so dire quello che non mi piace. Mi piace ascoltare tanta musica, capire le influenze, le contaminazioni, perchè alla fine l’hip hop nasce dal rap, che nasce dal funk, ecc ecc. Sono una molto curiosa, che non ha barriere.

A volte mi pento e penso che se avessi iniziato prima a fare questo lavoro forse oggi sarei più tranquilla, ma poi ricordo a me stessa che tutto quello che ho fatto mi ha portato fino a qui, a ragionare così, a cucinare così. Forse se avessi cominciato a 25 anni non preparerei gli stessi piatti di oggi, perchè non avrei una mente così aperta.

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