fbpx
HomeIntervistAANell'incertezza il Friccico. Intervista a Serena Moretti e Simone La Rocca

Nell’incertezza il Friccico. Intervista a Serena Moretti e Simone La Rocca

Serena Moretti e Simone La Rocca sono una coppia brillante nel lavoro e nella vita. Lei esuberante e sognatrice, lui introverso e talentuoso. Si completano alla perfezione.

Serena e Simone sono i padroni di casa da Fricicco, locale nato a Roma – in piena pandemia Covid – da un’idea di Simone e dei suoi soci Iacopo La Rocca (il fratello) ed Andrea Ionta (un caro amico).

Fricicco nasce come bistrot, in cui gli avventori possano sentirsi a casa, sedersi al bancone a chiacchierare, interfacciarsi con lo chef empatizzando ed osservando il processo di creazione delle pietanze. Il Covid ha costretto Serena e Simone a rivedere i piani e ad adattarsi, non perdendo però mai la propria forte identità.

Tradizione e selvaggina, qualche influenza francese, attenzione alla stagionalità, tanta dedizione, sacrificio e studio. Questi sono solo alcuni dei segreti del successo di Friccico.

Ecco cosa ci hanno raccontato Serena e Simone nella nostra interessante intervista a tre.

Il Friccico della convivialità, intervista a Serena Moretti e Simone La Rocca

Come è nato Friccico?

Abbiamo avviato questa attività in piena pandemia. Il progetto Friccico nasceva prima, dovevamo inaugurare a gennaio 2020, ma poi a febbraio il primo lockdown ha fatto sì che dovessimo ritardare l’apertura di parecchio.

Non abbiamo potuto fare quello che fanno tutte le attività quando aprono. C’è stata molta incertezza all’inizio, a causa delle chiusure obbligatorie. A luglio del 2020 abbiamo finalmente aperto, ma poi ad ottobre sono riniziate le restrizioni.

Siamo molto entusiasti a prescindere dalla fatica, ci siamo dovuti sacrificare tanto. Avevamo però una marcia in più perché bastavamo noi due (lui in cucina e io in sala) a mandare avanti il locale. Siamo morti di stanchezza, ma abbiamo attraversato il periodo con meno danni del previsto.

L’apertura in piena pandemia è una sfida molto ardua, come avete resistito? Vi siete dovuti reinventare?

Avevamo strutturato un progetto ancora più dinamico. Siamo tipi da bancone, ceniamo al bancone quando usciamo, soprattutto se dietro c’è una persona che conosciamo. Questa è la nostra idea di convivialità.

Simone si immaginava dietro a questo bancone dove c’era un’area attrezzata (non la cucina, che è comunque a vista ma è dietro) in cui preparare tartare in base ai gusti della persona che aveva davanti. Immaginavamo più intimità, più empatia.

E’ chiaro che ora come ora l’aspetto del bancone si è venuto a perdere a causa delle regole Covid. Quando abbiamo aperto non si poteva neanche usare, mentre noi lo avevamo previsto come parte integrante della sala. Ad oggi questo aspetto non l’abbiamo potuto realizzare.

Simone è in cucina, io in sala, tutto gira intorno ad una ristorazione collettiva abbastanza classica ancora. Il più grande lavoro sarà quello che verrà quando si elimineranno completamente le restrizioni. C’è ancora tanta gente che ha difficoltà a mangiare al ristorante. 

Sono cambiate le abitudini delle persone. Prima i ristoranti riuscivano a regolarsi in base alle prenotazioni, ora la gente non prenota più. Aspetta di vedere se c’è il sole, se fa freddo, se fa caldo, se se la sente, se non se la sente, poi decide se andare a mangiare fuori. Quindi è diventato tutto più complicato, anche da organizzare.

Durante il lockdown abbiamo scelto di essere solo noi due. Abbiamo dovuto fare menu da asporto, abbiamo creato proposte che potessero essere idonee. Facevamo i Bao farciti con guancia brasata, coniglio…non ci siamo piegati al periodo cambiando l’identità del locale. Abbiamo fatto menu street adeguandolo alle esigenze delle persone, ma mantenendo coerenza col nostro progetto.

“Il ristorante mi scorre nelle vene”

La vostra è una passione di famiglia o è del tutto personale?

Simone: Ho sempre voluto imparare un mestiere. Mi sono avvicinato alla cucina grazie a mia nonna, che era una cuoca, e da lei è nato il mio amore per la tradizione. Era una di quelle nonne dalla pasta fresca fatta in casa, dai sughi di lunga cottura.

Ho fatto molta gavetta come chef, lavorando anche con nomi noti. Oggi a 41 anni ho un’esperienza massiccia. Friccico è la mia prima volta da ristoratore in toto, da ristoratore per me stesso. Ci sono tantissime cose belle in questo perchè posso sperimentare al 110%, ma c’è anche la parte sacrificante. Il ristoratore è un insieme di tante cose. Mentre lo chef fa il lavoro che ama, il lavoro della sua vita, il ristoratore ha beghe che non piacciono a nessuno.

Serena: Simone è un ragazzo molto umile e riservato, difficilmente si autoelogia. È concreto. Passa giornate intere al locale a cucinare, nutre un grandissimo amore per ciò che fa. La marcia in più di quando un locale è tuo è che si può svegliare la mattina e sperimentare. L’evoluzione è stata la libertà di cucinare quello che vuole, di perderci un mese di tempo finché non raggiunge la perfezione.

Io ho un background diverso dal suo. Nella mia famiglia siamo 6 fratelli e 5 di noi sono ristoratori. Il ristorante mi scorre nelle vene. Amo non solo la sala, ma tutto quello che c’è dietro: l’apertura, la scelta dell’arredamento, della carta dei vini, lo studio del food cost, tutta la parte commerciale e via dicendo.

Ho sempre sognato di fare la ristoratrice: la sala, la convivialità, l’accoglienza, conoscere le persone, farle stare bene, farle tornare, fargli ricordare il tuo nome…mi piace tutto ciò che di imprevedibile c’è dietro. Dalla creazione del ristorante (che ho fatto anche per terzi) a tutto quello che riguarda la creazione di eventi, alla vendita, alla sala. La sala è un mondo.

Appena ho cominciato ho subito detto che nella vita avrei aperto un ristorante. Non è questa la circostanza perché Friccico è del mio compagno, ma l’interesse è comune. Simone stava progettando ormai da tempo questo locale con i suoi soci e mi hanno proposto di collaborare con loro. 

Sicuramente quello che mi contraddistingue è che nel mio cammino ho sempre agito all’interno di ogni ristorante in cui ho lavorato come fosse il mio. Quando nutri una passione profonda, quando quello che fai ti piace tanto, quando sei nata per fare questo, lo fai con grande dedizione. Per me, che il ristorante sia il mio o sia di terzi, non cambia.

Sono stimolata da questo lavoro, è uno di quei lavori che, a prescindere dagli alti e bassi, ti richiama visceralmente. Il mio sogno è quello di aprire tanti ristoranti. Certo, appena ne abbiamo aperto uno c’è stata la pandemia globale e siamo rimasti un po’ scottati, però speriamo bene per il futuro.

Un menu tradizionale con guizzi creativi e tanto studio

Il vostro ristorante è fortemente improntato al rispetto della tradizione, come create il menu?

La nostra è una cucina genuina, non troppo elaborata. Ogni portata è preceduta da un grande studio e c’è tanta attenzione. Abbiamo il vantaggio di lavorare materie prime eccezionali. La nostra non è una cucina gourmet, è tradizionale, riconoscibile, ti ricorda quella di casa, ma con nozioni professionali differenti, e perciò piace a molti. Si è fidelizzata tanta clientela.

Serena: Simone apprezza molto la selvaggina e segue la stagionalità della caccia. È diventato uno dei must del locale, creando un’identità forte di Friccico. Non è nato come un ristorante di cacciagione, noi siamo un ristorante in cui il menu è fortemente influenzato dalla stagionalità ed in cui è presente la selvaggina. Coniglio, lepre, anatra, ma anche manzo, da noi si può trovare tutto.

Lo chef parte da una ricetta tradizionale e la rielabora attraverso uno studio profondo per metterci la sua firma. La tradizione nei nostri piatti c’è sempre.

Sodalizio di cuori e talenti

Siete una coppia affiatata sul lavoro, ma anche nella vita. Come è nato il vostro amore?

Serena: Siamo insieme da tre anni ed abbiamo una bimba di sette mesi, che è la mascotte di Friccico (perché c’è nata praticamente).

Ci siamo conosciuti in un altro ristorante: lui faceva lo chef patron, io fui chiamata per sostituire la direttrice in maternità. Pensa che quando mi chiamarono a lavorare lì, non ci volevo neanche andare!

Quando ho iniziato a vedere i piatti che uscivano dalla cucina sono rimasta a bocca aperta. Ho detto subito ad una mia collega che pensavo che il cuoco fosse brillante. Poi me lo sono cucinato per bene! O in realtà forse lui mi ha cucinato per bene…non lo so.

A prescindere dal fatto che sia il mio compagno però credo veramente nella sua brillantezza come cuoco, l’ho pensato sin dal primo giorno che l’ho conosciuto, nonostante allora non lo sopportassi perché – come tutti i cuochi – aveva un fare scostante da artista

Paris mon amour

Nel vostro menu sono presenti richiami alla cucina francese. Come mai?

Non abbiamo costruito o disegnato un ristorante uguale agli altri, non abbiamo fatto calcoli o marchingegni. È stato tutto in divenire, giorno per giorno. Mentre eravamo in piena ristrutturazione, siamo partiti per un weekend e siamo andati in Francia, a Parigi.

La Francia è stata di grande ispirazione, ci siamo innamorati del contesto, dei bistrot con i loro tavoli intimi e vicini. Volevamo ricreare quell’ambiente rilassante, gradevole, caldo, dove le persone potessero trovarsi in un salottino più che in un ristorante ampio. Un posto in cui a fine serata hai conosciuto anche la persona del tavolo a fianco.

Della cucina francese abbiamo portato a casa il foie gras e le terrine, di cui stiamo preparando una grande selezione. Il nostro menu è prevalentemente nazionale, con un accenno di Francia.

E’ vero che Simone si occupa di tutte le preparazioni? 

Serena: La nostra parola d’ordine è l’artigianalità. Simone si occupa di tutto, spesso di preparazioni che richiedono mesi: prosciutto d’anatra, carne salata…

Il prosciutto d’anatra è nato da un mio desiderio, ero incinta e avevo le voglie. Il giorno dopo aveva già iniziato a studiare, il mese dopo è nato il nostro primo prosciutto d’anatra. Generalmente inizia più o meno così: io esprimo un desiderio e lui lo esaudisce. Anche il fois gras è stata una mia richiesta. 

Oltre ad essere una ristoratrice sono anche una grande mangiatrice. Mi piace mangiare bene e ho un’idea ferma, propongo tanto. Lui all’inizio obietta e poi soddisfa sempre i miei desideri.

Mi stupisce vedere l’entusiasmo con cui vengono accolte le nostre preparazioni. Quando decidi di fare una cosa, non sai con certezza quale sarà il riscontro e invece nel giro di poco finiscono, le persone capiscono che sono cose genuine e le apprezzano.

Buone forchette e progetti per il futuro di Friccico

Visto che sei una buona forchetta, è d’obbligo una domanda. Quale è il piatto più amato dai vostri clienti e quale il vostro preferito?

Tra i secondi degni di menzione per apprezzabilità e per essere i piatti più venduti sono la lepre alla royale ed il rollè di coniglio. Ricette ricchissime e molto elaborate.

Il nostro piatto preferito è il brasato. Non lo vedi nel menu perchè è in quello invernale (seguiamo la stagionalità), ma credo di poter dire che è decisamente il nostro preferito. Se invece dovessi stilare una classifica del nostro menu attuale: tra gli antipasti metterei al primo posto il fois gras, tra i primi piatti il must sono i pici trafilati al bronzo fatti in casa al ragù d’anatra in bianco (soffritto grossolano, tagliato al coltello….non sai che profumo). Tra i secondi – a parte il brasato – rollè di coniglio con carciofi fritti. Tutta la vita! Tra i dolci, la torta di mele fatta con la bavarese al caramello ed il gelato alla crema.

Quali sono i vostri progetti per il futuro? Pensate di aprire altri ristoranti oltre a Friccico?

Simone: Ma che ne so! Intanto facciamo partire bene questo e poi vediamo. Il Covid è stato surreale, non mi sarei mai immaginato una cosa del genere e ancora mi devo riprendere. Se uno non lo vive in maniera diretta non lo può capire, è stato veramente duro.

Comunque un giorno vorrei fidelizzare al punto tale il cliente da permettergli di chiamarmi per dirmi ‘Sto venendo, mi prepari una lepre alla brace o un maialino?’ Questo è il tipo di ristorazione che vorrei. Adesso si è arrivati ad un punto tale che la gente esce due-tre volte a settimana e cerca di spendere il meno possibile, bada meno alla qualità. Venire da noi e stare come a casa, farsi una chiacchierata, questo sarebbe il mio sogno. Forse non accadrà nell’immediato, ma mi piacerebbe molto. Vorrei arrivare ad avere un rapporto diretto col cliente. Già c’è, ma spero ci sia sempre di più.

Serena: A me piacerebbe, ti dico la verità. La strada di Friccico è partita in salita, ma stiamo crescendo e migliorando sempre di più. Il nostro era un progetto quasi vinto in partenza, se ha funzionato così nonostante il Covid non immagino come sarebbe stato senza.

A causa della pandemia si è andato a creare un fattore di grande imprevedibilità per qualsiasi azienda, anche fuori dalla ristorazione, che non ti mette nella condizione di gestire al meglio la progettualità. Speriamo presto di esserne definitivamente fuori.

LASCIA UNA RISPOSTA

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Maagna Stories