A Roma “pizza” vuol dire un impasto sottile, croccante, ben condito, con un cornicione quasi assente. Ai romani piace così: “scrocchiarella”. Che succederebbe se la si esportasse in Sicilia? Sarebbe un successo, ovvio. E Friedrich Schmuck lo sa bene. È la sua storia, o meglio, il suo Piano B.
“Io ho vissuto a Roma fino all’età di undici anni, quindi sono cresciuto con la pizza romana. Quando ci siamo trasferiti a Siracusa ne abbiamo sentito la mancanza. È stato uno degli input per cui abbiamo deciso di aprire il Piano B.”
Pizza romana, Alto Adige e Sicilia
Tre spicchi Gambero Rosso 2021, la pizza di Friedrich Schmuck è il frutto di un percorso fatto di studio, influenze e intuizioni. Apre la sua pizzeria nel 2010 a Siracusa, a ridosso dell’Isola di Ortigia. Un locale di successo che ha le fondamenta nella storia personale di Friedrich Schmuck.
“Io, pensa, ho un diploma da odontotecnico -ride- perchè mio padre era dentista, quindi diciamo che all’inizio il percorso che dovevo seguire era quello! Poi ho fatto tutt’altro. Ho lavorato nel turismo con l’attività che avevamo avviato nel 2003, una struttura ricettiva a Siracusa. Mi occupavo dell’accoglienza e della reception. In seguito ho deciso insieme a mia madre, una grandissima cuoca e appassionata di cucina, di provare ad aprire questa pizzeria.”
Mi racconti il tuo incontro con la pizza in senso professionale?
Praticamente il mio primo approccio con la pizza l’ho avuta in coincidenza con l’apertura del Piano B, dieci anni fa circa. Prima del 2010, mi ero approcciato al mondo della ristorazione facendo tutti e tre i livelli del corso per sommelier perchè ebbi una folgorazione per il vino. Io prima non bevevo niente, assolutamente. Ero astemio, non bevevo ne birra ne vino, poi mi è scoppiata una passione. Così, tutta d’un tratto. Come poi è stato per l’arte bianca.
Finiti i corsi AIS ho deciso di aprire il Piano B facendo un corso di un mese a Roma all’associazione API. Lì Angelo Iezzi e Massimiliano Bacich sono stati i miei primi due punti di riferimento. Ho fatto il corso prima di aprire il locale proprio per capire un attimo a cosa andavo incontro, per sapere il “tema” qual era. Subito dopo ho deciso di aprire il Piano B.
E com’è andata?
I primi anni, visto che non avevo avuto esperienza come pizzaiolo e venendo dall’accoglienza, mi sono messo al front desk della gestione della pizzeria. Quindi alla cassa, all’accoglienza del locale, al servizio. Poi “fortunatamente” dopo 3-4 anni il mio pizzaiolo ebbe la grandissima idea di volersene andare. Voleva fare una sua esperienza aprendo un’altra pizzeria e si creò questo “vuoto”. Io nel frattempo avevo iniziato a informarmi online su quello che era il mondo dell’arte bianca, avevo frequentato altri corsi. Insomma, cercavo sempre di sapere qualcosa in più riguardo il mondo delle lievitazioni, delle pizze, di impasti e quant’altro.
Così mi sono messo all’ultima anello della catena, a condire la pizza all’uscita del forno e piano piano ho fatto i vari passaggi. Arrivare ad entrare in laboratorio è stata la conclusione di questo percorso. In realtà non proprio una vera “conclusione”, ma un approfondire ancora di più quello che era il mondo dell’arte bianca. Lì è scoppiata la passione vera e propria e non mi sono fermato. Ho frequentato altri corsi, aggiornamenti, prove su prove, esperienze, insomma un continuo di attività.
Come descriveresti la tua pizza? Tradizionale o contemporanea?
Mettere un’etichetta non mi piace assolutamente. La mia è una pizza che non ha nulla di così nuovo, di così straordinario o di così esclusivo dalle altre. È sicuramente simile a quelle di altre pizzerie che ci sono in Italia. È però caratterizzata dalla mia storia, dal mio passato, dai miei gusti, dalla scelta degli ingredienti o anche delle intuizioni che ho, in primis, quotidianamente. A me non piacciono i fenomeni che dicono “ah! la mia pizza è…”. La mia pizza è semplicemente caratterizzata da me in prima persona. Chi sta in cucina, o insomma un qualsiasi artigiano che ha la possibilità di creare qualche cosa, ci mette qualcosa di suo che viene da qualche esperienza che ha avuto.
Roma è nello stile della tua pizza. Che influenze hai avuto dalle tue origini altoatesine e siciliane?
Ce l’hanno tutt’ora. Sono un’ influenza costante. Anche perchè a me piace trasmettere e legarmi ogni volta alle mie radici. Fino all’età di undici anni sono stato a Roma e poi ci siamo trasferiti a Siracusa. In Alto Adige non ci ho mai vissuto, però è un luogo che mi lega molto a mio padre, che purtroppo non c’è più da qualche anno. Lui ci portava a me e mia sorella in vacanza, avevamo anche dei parenti lì, facevamo il natale, facevamo una settimana in estate ogni anno. Paradossalmente è l’unico tra i tre posti dove non ho vissuto, ma al quale, forse, mi sento più legato. Quindi i profumi dell’Alto Adige che mi porto dietro da bambino, cerco di riportarli nei miei lievitati, che sia pizza, pane, panettone…
Quest’anno ad esempio ho fatto il panettone con gli ingredienti dello strudel altoatesino. Però non tralascio mai la Sicilia con la sua materia prima che io ho quotidianamente tra le mani. Questi tre luoghi che appartengono a me cerco di riportarli nel Piano B, in quello che faccio.
E a Siracusa come hanno reagito alla pizza romana?
–Ride- Mi ricordo benissimo perchè quando ho aperto 10 anni fa a Siracusa la pizza in pala non si era mai vista. Nessuno l’aveva mai proposta. Idem per la pizza tonda romana, bassa e sottile senza cornicione, un’altra cosa che non c’era. Mi ricordo benissimo che fu un successo immediato. Come ben sai le sorprese e le novità i clienti l’apprezzano molto. Erano tutti molto curiosi, poi fortunatamente è anche piaciuta molto. É stata da subito una piacevole sorpresa.
La ristorazione sta vivendo un momento davvero buio. Cosa è cambiato del tuo locale per via della pandemia?
Da quando è scoppiata la pandemia non abbiamo mai chiuso. Ci siamo subito adattati all’asporto e al servizio a domicilio, cosa che non avevamo mai fatto nella nostra attività. Però ti devo dire che è stata dura. Fare l’asporto e soprattutto il domicilio è tutt’altra attività da quella che è il servizio al tavolo. Abbiamo avuto molte difficoltà per rimodellare il tipo di lavoro con le consegne e le tempistiche. Ci abbiamo messo un po’ per trovare le misure. Fortunatamente io ho avuto i miei ragazzi che mi sono stati molto vicino e non mi hanno mai lasciato solo. Anzi, ci hanno permesso di fare questo tipo di lavoro, perchè si sono adattati a fare i rider con i propri mezzi. Voglio dire, non era scontato, no? Ad oggi siamo sempre in prima linea e siamo sempre aperti ogni sera.
Come ristoratore cosa ti manca del tuo locale?
Eh, la gente ci manca! Vedo il locale buio, vuoto, senza poter viverlo ogni sera. Ora siamo in 4, perchè molti sono in cassa integrazione a casa. Vedere questo locale ogni sera buio, vuoto, con le sedie messe sopra i tavoli, gli ombrelloni della veranda chiusi, le sale non utilizzate ormai da un anno… Ti si stringe il cuore a pensare che il locale era pieno di gente. È la cosa che sicuramente manca di più.
Oltre alla pizza, qual è il tuo approccio verso gli altri lievitati?
Devo dirti che ad oggi il pizzaiolo si è indubbiamente evoluto. Credo che il vero appassionato dei lieviti, il vero amante dei lieviti e delle lievitazioni -a prescindere che sia pizzaiolo o che sia panettiere o pasticcere- cerca di intraprendere le varie strade, le varie sfaccettature che ha il mondo della lievitazione. Al vero appassionato il mondo della lievitazione gli piace a 360°. Ormai vedo anche tanti chef di un certo spessore che si fotografano con la forma di pane, con il lievito madre… Cosa che prima non ci pensavano neanche a questo prodotto. Per me fare un panettone o un pane è sempre una grande passione, al pari di fare una pizza.
Questo mondo ti affascina e ti stupisce ancora?
Si, certo! Ti faccio un esempio: io sto sperimentando il lievito fatto con solo segale, proprio per fare un pane 100% segale. Ad oggi mi porto avanti oltre al lievito che uso per il panettone, un altro che uso per il pane, un terzo lievito che è quello di segale e che ha bisogno d una cura diversa rispetto agli altri due. Quindi è un continuo conoscere, sperimentare… è un mondo ampio!
Cosa ti piace fare quando stacchi dal lavoro?
Guarda, la prima cosa è viaggiare! È sicuramente quello che mi rende più sereno e mi permette un attimino di ritornare in me. Sai, sul mondo del lavoro sei un po’ in tensione, sei una corda di violino. Viaggiando mi rilasso, stacco la spina. Tornato dal viaggio mi rendo conto che ho immagazzinato, ho metabolizzato, partorito delle idee perchè ho visto dei prodotti, delle materie prime, dei profumi. Mi rendo conto che viaggiare mi arricchisce di qualche cosa che posso riportare nel mio lavoro.
Quando vai in una pizzeria, che cosa ordini?
Cerco di farmi consigliare dal collega e non mi fermo mai, se è possibile, ad una sola pizza. Mi piace assaggiare più cose, proprio per avere un confronto con i miei prodotti. In questo senso cerco di andare sempre da qualcuno che reputo più bravo di me. Cerco di vedere se posso riportare nella mia pizzeria qualche idea, ma anche per capire se il mio prodotto è a un livello tale da confrontarsi con i migliori colleghi che ci sono in giro.