Christian Marasca non ti parla semplicemente del suo lavoro, ti trasmette tutta la sua passione. Dopo averci parlato, mi è venuta voglia di andare ad assaggiare tutti i suoi dolci, magari anche di provare a farne anche io uno.
Una carriera da pasticcere cominciata prima da autodidatta studiando i libri di Luca Montersino e poi sfociata all’iscrizione all’Alma.
“Faccio parte di quelle persone che decidono di cambiare la propria vita strada facendo. Al secondo anno di Economia ho proprio questa immagine di me che dico “Basta! Me ne vado!” e ho cominciato a battere un po’ più seriamente la strada della pasticceria, che è sempre stata una mia grande passione. Mio nonno aveva aperto questa tavola calda, e se c’è una cosa che mi dicono sempre è che una parte di lui si è “reincarnata” in me, una passione che è una sorta di eredità genetica, se proprio vogliamo dirla in maniera romantica”.
Seguono esperienze significative e formative da Marzapane, Il Pagliaccio, Gruè, in cui incontra diverse personalità, maestri che Marasca ricorda con affetto e calore.
“Tiziano Mita (Pasticcere al Borgo Egnazia ndr) è una persona che porto nel cuore. Grande appassionato di pasticceria e dell’Italia. Mi fa sempre piacere parlare di lui e che venga citato tra le mie esperienze significative, perchè oltre alle conoscenze mi ha formato caratterialmente. La pasticceria di Felice Venanzi, Gruè, è una grande realtà e laboratorio di pasticceria, là ho imparato tanto dal punto di vista lavorativo in termini di produzione e di qualità. Lì hanno lo stesso standard e la stessa attenzione di un ristorante stellato”.
Infine la chiamata da Antonio Ziantoni, conosciuto a “Il Pagliaccio”, che lo invita a entrare nel progetto del ristorante “Zia Restaurant”.
“Mi ci sono buttato a capofitto. Il primo giorno eravamo io, lui, Ida -la sua compagna- e altre persone che non ci sono più perchè la brigata è cambiata nel tempo. Quest’anno è arrivato il riconoscimento della stella Michelin e siamo molto contenti di questo. Stiamo lavorando tanto e nella direzione giusta”.
Hai incontrato tante difficoltà nel tuo percorso professionale?
Ostacoli ce ne sono, ed è bene che ce ne siano sempre. Anche adesso ci sono tante difficoltà nell’ideare un piatto nuovo e cercare sempre di superare se stessi. Perché alla fine è quella la chiave che fa ricordare un tuo dolce e, in un certo senso, fa anche parlare di quello che stai facendo. Inventando qualcosa di nuovo cerchiamo di uscire dagli schemi, però cercando di rimanere nella nostra accezione di essere molto classici, puliti, lineari, cercando di mettere qualcosa di nuovo e di nostro che possa essere una firma personale.
Invece il momento più bello qual è stato?
A livello di emozione è stata la stella Michelin ottenuta quest’anno. Forse proprio perché ho scelto questo progetto e ho sentito che ci saremo potuti arrivare insieme. Guadagnarla sul campo è stata un’emozione unica. Avendo lavorato a questo progetto da 3 anni a questa parte, il fatto che lo chef ha vinto il premio “giovane Chef 2021” e la stella sono sicuramente stati i due riconoscimenti di cui io sono stra-contento.
Molte delle esperienze le hai fatte qui a Roma, sei molto legato a questa città?
Guarda sono molto legato alla mia città, anche se in un rapporto conflittuale, perché quando ho lavorato ad Alba al laboratorio di Luca Montersino, non ho potuto far altro che apprezzare la realtà che ti può offrire una piccola città come Alba. C’è tutto quello di cui si ha bisogno, senza soffrire del caos romano che è qualcosa che non tollero. Roma la amo perché è la mia città, sicuramente ne sono legato, ma ti dico la verità, a volte la soffro un pochettino. Da qua a 20 anni non so se mi vedo ancora in una grande città. Spero si potranno realizzare progetti in realtà più piccole, anche per dar luce a posti che sono fantastici e sono fuori dalle mura di Roma.
Oltre che per lavoro, come influisce la pasticceria nel tuo vivere quotidiano?
Giro per le pasticcerie sempre, vado a ogni nuova apertura e ogni volta che ho del tempo libero vado a mangiare in qualche nuovo locale. Io sono un grande appassionato di pasticceria francese e due anni fa ho fatto un stage da Cédric Grolet a Parigi, durante un periodo di ferie paradossalmente. Credo che la crescita derivi anche da questo. Cioè, la benzina del processo creativo è al di fuori delle mura della cucina. Quello che avviene al loro interno è un’esecuzione. L’ispirazione, lo studio e in un certo senso l’idea vengono sempre da fuori. È difficile che ti venga mentre stai lavorando. Quindi mangio tanti dolci perché mi piace scoprire altre realtà ed essendo un appassionato non può che piacermi.
Parlando di pasticceria italiana e francese, in cosa sono diverse?
Noi abbiamo dei gusti e un’identità diversa, ne migliore ne peggiore di quella oltralpe, insomma sono semplicemente accezioni diverse di gusti e visioni. Di quella francese non posso che ammirare la visione che hanno del pasticcere, molto diversa dalla nostra. In Francia i ragazzi cominciano molto giovani e questo lavoro è molto ben visto, perché l’artigiano francese ha una considerazione altissima. In Italia sembra che sia quasi un ripiego per molte persone, fai il cuoco magari perché non sei riuscito a fare altro. Questa è una cosa di cui soffriamo molto.
In un ristorante come “Zia Restaurant” cosa rappresenta il dolce?
La pasticceria deve essere sempre al pari della cucina, non deve fare mai un passo indietro rispetto ad essa. Questa è una cosa a cui abbiamo puntato molto. Antonio stesso è un grande appassionato di pasticceria e sicuramente questo giova al risultato finale. Il dolce è un tassello fondamentale di cui il cliente si ricorda molto e conquistarlo con un dolce è molto difficile. Da Zia penso che stiamo lavorando nella direzione giusta perché il feedback è positivo. La cosa di cui sono più fiero è che abbiamo riproposto dei gusti estremamente classici. Ci sono dolci in cui abbiamo bilanciato lo zucchero senza doverlo contrastare, basti pensare al babà o al tourbillon. Sono dolci che giocano sui toni della vaniglia, dell’amaro della cottura dello zucchero. É una cosa di cui vado molto fiero perché la nostra è una pasticceria molto classica, vista con gli occhi di oggi. Metterla alla fine di un pasto è stata una scommessa e alcune cose non riusciamo più a togliere dalla carta -fortunatamente-. Abbiamo scoperto che ogni persona, anche quella che ti dice “sai io non mangio dolci”, puoi conquistarla con un dessert che sia “dolce” nella maniera giusta e siamo riusciti a farlo proponendo una pasticceria dal gusto evocativo familiare.
Tutto questo in sinergia con lo chef Ziantoni…
Si assolutamente. C’è un fil rouge che lega tutto quanto il menu. Questo è imprescindibile. Sicuramente io e lui viaggiamo su due binari che sono molto vicini e facciamo questo sia alla stessa velocità che nella stessa direzione. Questo è fondamentale perché non puoi confondere il cliente, ma anche perché crediamo in qualcosa e la portiamo avanti insieme. È come raccontare una storia: non si può cominciare in un modo e avere un finale totalmente diverso.
Cosa fai per staccare dal lavoro?
Correre è una cosa che ho scoperto da relativamente poco. È da un po’ di tempo a questa parte che lo definisco il mio anti stress. Vivendo praticamente nel parco dell’appia antica quando sono libero vado a correre. È una cosa che mi permette di staccare totalmente. Sotto questo punto di vista sono molto fiscale: quando torno a casa, con la mia compagna non voglio parlare di lavoro e voglio esserne totalmente estraneo. Andare a correre è una cosa che mi fa proprio staccare e il Parco dell’Appia antica è una parte di città spettacolare, una di quelle che sono un tesoro da custodire gelosamente.
Dopo la stella Michelin, quali altri sogni devi ancora realizzare?
Door to door è un progetto che voglio si realizzi nel lungo termine, vorrei che diventasse un “dessert bar” a tutti gli effetti, dove la gente può venire a mangiare i miei dolci e bere un drink, un caffè, una tisana, un infuso. Mi piacerebbe che diventi una realtà fisica. È nato in periodo Covid, ma è un work in progress. Non vedo l’ora che finisca questa pandemia, perché ci ha rallentato tantissimo.
Dimmi un po’… i dolci fanno male?
Ma no! I dolci non fanno male! Ovviamente nei limiti. Dei dolci non si dovrebbe abusarne, ma un buon dolce come fai a negartelo? È altrettanto importante usare sempre ingredienti di altissima qualità e su questo c’è un’intransigenza pesante dal mio punto di vista perché sono un maniaco della qualità, come Antonio. La qualità viene prima di tutto, anche prima del km 0. Se per esempio la nocciola di qualità la trovo a Viterbo, bene… Ma se io la panna di qualità la trovo in Piemonte, ci vado e mi faccio portare la panna da là. È qualcosa da cui non si può mai prescindere. Io spero che lavorando in questa direzione, sempre più persone si possano avvicinare ai dolci. Non ti nascondo che tantissimi clienti con cui parlo mi dicono “il dolce è stato fantastico, pensa che io neanche amo i dolci”. 9 persone su 10 mi dicono così. Mi piacerebbe avvicinare più persone alla pasticceria, perché è una cosa che abbiamo un po’ perso in un certo senso. Tanti anni fa i miei genitori avevano proprio l’abitudine della pasticceria. La domenica a casa c’era sempre e ci doveva essere la pasticceria da condividere. È un momento che si è un po’ perso e dovremmo ritrovare questa convivialità. Ecco, mi piacerebbe portare questa abitudine a casa delle persone.
Toglimi una curiosità: come funziona il compleanno di un pasticcere? La torta te la fai da solo?
Assolutamente no! Scelgo la mia pasticceria preferita, che attualmente è “Charlotte” di Claudia Martelloni a Re di Roma, con cui sono tanto amico. Vado da lei oppure da chi voglio provare in quel momento, ma farsi la torta da solo assolutamente no!