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Camilla Pistacchi: mani a paletta e sguardi aperti verso il mondo

Camilla Pistacchi è un connubio di forza e dolcezza. Veneziana di nascita, romana d’adozione, non rinuncerebbe mai alla sua “mano a paletta”, ma è aperta al mondo e lo guarda con occhi curiosi e stupiti come solo chi è nato in una città di porto sa fare.

Camilla è chef e co-proprietaria di Verde Pistacchio, un ristorante bistrot a Km0 nel cuore del quartiere Ostiense a Roma. Da Verde Pistacchio si punta al bio, ma con il giusto equilibrio tra qualità e prezzo.

Ciao Camilla. Come è nata la tua passione per la cucina?

Ho cominciato questa carriera 15 anni fa. Quando mi sono laureata, ho capito che non mi interessava molto il percorso che avevo scelto (avevo studiato lettere). Ho fatto un corso di cucina e sono diventata “schiava” di uno chef. Sto scherzando ovviamente. Diciamo che è stato un tirocinio molto duro.

Poco dopo ho scelto la mia strada, perchè il mondo della cucina è molto maschilista e sentivo il bisogno di essere indipendente. Ho deciso di fare tutto da sola. Dopo il tirocinio in un po’ di locali ho dunque deciso di diventare indipendente.

Ho lavorato in un ristorante, sempre biologico, e poi ho deciso di aprire il mio locale perchè volevo dare forma alle mie idee. Volevo arrivare a proporre il cibo buono, biologico, ad un prezzo accessibile a tutti (soprattutto ai giovani). Penso negli anni di esserci riuscita.

Siamo cresciuti, cambiati, abbiamo mutato la nostra forma, però cerchiamo sempre di rimanere fedeli all’idea di base: cibo buono, filiera più corta possibile (io i fornitori li conosco tutti personalmente) ed un prezzo accessibile. Potrei scegliere anche cose più particolari, ma poi il food cost non ci permetterebbe di proporre un’offerta alla portata di tutti.

Camilla Pistacchi: cucina bio, mani a paletta e sguardi aperti verso il mondo

La scelta del bio è all’avanguardia, ma è difficile da portare avanti per costi e qualità. Come la gestisci?

E’ molto difficile. I fornitori fanno fatica a stare dietro a tutte le regole che ha il biologico. Il nostro fornitore della carne non ha certificato bio, ma io so che lo è perchè lo conosco e so che ha un allevamento allo stato brado. Bisogna scendere a compromessi fondamentalmente, perchè spesso purtroppo si va a pagare di più un bollino. Alcuni decidono proprio di non averlo più perchè non stanno dietro ai pagamenti. Per le cose fresche (frutta, verdura, carne, formaggi) conosco tutti i miei fornitori, so chi sono anche a livello umano. Non sono tanti, sono 4-5.

Instauri con loro anche un rapporto umano dunque.

Certo, ci chiamiamo per nome, ci facciamo gli auguri; sanno dei miei figli ed io so dei loro. Per quello preferisco avere un menù ristretto, ma lavorare con i miei fidati. Mi fido di loro e se c’è qualcosa che non va – perchè può capitare ovviamente – uno se lo dice. Non scegliamo tagli nobili di carne. Per avere filetto per un intero ristorante bisognerebbe uccidere moltissimo bestiame e sarebbe uno spreco. Scegliamo tagli un po’ meno nobili per non sprecare il cibo.

Come nasce il vostro menù?

A pranzo il menù cambia ogni giorno, la sera cambia una volta al mese. Adesso abbiamo una cadenza mensile perchè mi sono accorta che così c’è meno spreco. Creiamo il menù, poi se vediamo che c’è qualcosa che non funziona facciamo sempre in tempo a modificarlo ed a migliorarlo. I piatti del mese vengono scelti anche in base alla disponibilità dei nostri fornitori. E’ tutto stagionale. Ad esempio ora non potrei mai utilizzare melanzane, pomodori o zucchine perchè il nostro fornitore delle verdure non fa serra o se la fa la fa il minimo indispensabile, per avere qualcosa sempre a negozio. Non avrà mai zucchine e pomodori in questo periodo. Le potrebbe tranquillamente mettere a 10 euro al kg, ma non è nella sua filosofia.

Crei personalmente i vostri piatti?

Certo! Mi piace molto la cucina etnica e guardare alle altre tradizioni. Alcuni piatti purtroppo non si possono riportare da noi, ma si possono italianizzare. Mi piace soprattutto sperimentare e guardarmi attorno.

L’importanza delle origini

Quale è il tuo cavallo di battaglia?

Non posso rispondere a questa domanda, perchè mi piace cambiare. Tutti dicono che sono le polpette. I miei clienti del pranzo, lo zoccolo duro che c’ha sempre accompagnato in otto anni, le amano particolarmente. Effettivamente le polpette sono una tradizione di famiglia, che punta a non sprecare il cibo. Direi quindi le polpette, di qualsiasi tipo e forma. Vegane, vegetariane, di carne, di pesce…quelle mi piace farle, mi divertono.

Sul vostro profilo Instagram, hai parlato di uno zio “magico” che ti ha insegnato a fare il gelato. La cucina è una tradizione della tua famiglia?

Mio zio era Carlo Pistacchi, una persona magica. Io sono nata a Venezia e lui negli anni ’80 ha aperto una gelateria proprio lì, la gelateria Alaska. Scelse il suo locale perchè aveva i colori della Giamaica, lui era il più grande collezionista di dischi reggae in Europa, forse anche nel mondo. Se ne è andato lo scorso 24 agosto.

E’ stato lui a trasmettermi la passione per la cucina naturale. Il suo era un gelato naturale. Mi portava la mattina al Ponte di Rialto, a prendere la frutta matura – quella che gli altri schifavano – perchè così non doveva aggiungere zucchero ai gelati.

Ho fatto uno stage da lui un’estate e trascorrevo ore a sbucciare quintali di semi di cardamomo, perchè faceva arrivare il cardamomo non so da quale paese per fare il suo gelato. Vai a sgusciare un sacco di semi di cardamomo…è stata una bella gavetta, però è stata magica. Venezia è rimasta in lutto quando è venuto a mancare.

Veneta di nascita, ma romana di adozione. Come sei arrivata a Roma?

Mia mamma era veneziana. Anche i parenti di mio padre vivevano lì da quando lui aveva 16 anni, ma papà è romano. Sono nata a Venezia, ma ho vissuto la mia vita a Roma. Tutti i miei parenti, sia da parte di madre che di padre, vivono ancora a Venezia però. Anche se amo Venezia e mi manca, la mia città è Roma fondamentalmente. La mano a paletta è solo romana e me la tengo stretta.

Pensi che Venezia influisca sulla tua cucina?

Sì, certo. Venezia è un porto aperto, una commistione di culture, ed è quello che piace a me: conoscere e studiare tutte le tradizioni, le cucine. Guardare all’esterno è quello che penso mi caratterizzi di più. Venezia è aperta al mare, è aperta al mondo. Se fosse una spezia sarebbe il curry. Ha sicuramente influito sulla mia cucina.

Mia madre mi diceva sempre che per essere veneziana ci dovevi essere nata, quindi io sono orgogliosa di esserlo. Sono molto legata a questa città per vari motivi.

Verde Pistacchio, ristorante bistrot a km0

Come è nato Verde Pistacchio?

Ho intrapreso questa avventura con degli amici, Raffaele Lucci ed il mio compagno. Successivamente la nostra strada si è divisa da quella di Raffaele, ma siamo in ottimi rapporti. E’ arrivato un nuovo socio, Diego. Da sola sarebbe stato impossibile creare tutto questo, perchè le cose da fare sono tante.

Raffaele ha un animo artistico ed ha partecipato alla creazione del locale con il suo estro e braccia forti per fare i lavori. Tanti amici, che non sono dentro ufficialmente, mi hanno aiutato moltissimo. Un mio amico cuoco mi ha supportato inizialmente nella creazione del menù.

Di strada ne abbiamo fatta tantissima, Verde Pistacchio era totalmente diverso. Le cose cambiano, migliorano. All’inizio eravamo acerbi.

Anche il lockdown ha influito moltissimo sul nostro cambiamento. Prima il menù era totalmente diverso. Abbiamo puntato su del cibo che potesse essere da asporto, abbiamo capito che c’era interesse nei confronti dei burger vegani e potevamo puntare anche su quello. L’importante è non cristallizzarsi ed ammettere che anche le cose che avevamo pensato geniali possono non funzionare. Non si deve avere paura di cambiare. 

Lockdown e clienti affezionati

L’emergenza Covid è stata difficile per voi come locale? Come l’avete affrontata?

Naturalmente ci ha tagliato le gambe. Lavoriamo tanto con prodotti freschi e l’emergenza sanitaria ci ha messo in difficoltà nel definire un menù. Abbiamo puntato ad offrire almeno una scelta vegana, senza glutine o burgerizzabile, in modo tale da essere più appetibili per l’asporto.

Finito il lockdown siamo ripartiti però. In questi anni abbiamo coltivato tanto il lato umano e soprattutto i nostri clienti del pranzo, anche se gli uffici sono stati chiusi o spostati, cercano di venire una volta a settimana anche solo per due chiacchiere o per parlare dell’ultimo film uscito. 

Chi sono i vostri clienti?

Tanti impiegati che lavorano in zona. Abbiamo pochi studenti, abbiamo più l’età di chi lavora dentro all’università. Amiamo chiacchierare di ca**ate con i nostri clienti e questo crea legame. Ad esempio siamo andati a vedere tutte le prime di Guerre Stellari con un nostro cliente affezionato.

Ci piace chiacchierare. C’è qualcosa che va aldilà dell’essere cliente e ristoratore. Quando ti vedi ogni giorno ti vedi anche quando sei arrabbiato, quando ti rode. A volte può capitare che sia una giornata no ed il pranzo sia meno buono e me lo dicono e so che lo fanno con affetto. E’ giusto così, si impara anche dai propri errori. 

A pranzo il menù viene 8 euro, è alla portata di tutti, e la gente sa che io mi impegno per far rientrare un’offerta ampia e biologica in un prezzo così irrisorio. I clienti fissi sanno i sacrifici che abbiamo fatto e che facciamo, ci hanno visto negli anni, se ci dicono qualcosa è per farci crescere. 

Non vorrei atteggiarmi troppo, ma siamo un punto di riferimento per alcune persone. I nostri clienti ci vogliono bene per quello che siamo. Altrimenti non sarebbero tornati dopo il Covid. Dopo quel periodo molti hanno cambiato abitudini, eppure sono tornati. 

Misoginia latente e prepotente

All’inizio della nostra chiacchierata accennavi alla misoginia presente nel mondo della ristorazione. Come è essere una donna chef ed al contempo una mamma? Hai avuto esperienze di misoginia?

Non è mai stata dichiaratamente espressa. Penso sia molto difficile per un uomo essere un mio subordinato ed a volte capisco che se fossi uomo sarei maggiormente considerata. Mi è capitato di chiedere che una cosa venisse fatta in un determinato modo e di non essere ascoltata. Mi rendo conto che se avessi avuto dei baffi ed un timbro di voce diverso, non avrei dovuto chiedere e richiedere le cose decine di volte. Io poi sono di indole buona, non mi interessa litigare, non cerco lo scontro e non sono nemmeno competitiva. Sono per la pace e l’amore.

Mi rendo conto che a molte persone brucia che una donna gli dia una pista, ma a me non interessa, non sto lì a rimarcarlo. Mi basta saperlo io. Il mio socio continua a ripetermi che Verde Pistacchio non sarebbe lo stesso senza di me e mi sostiene tantissimo, il resto non conta.

Nella mia carriera lavorativa, in altri posti, ho dovuto sgomitare di più perchè donna. Ho lavorato in un ristorante dove non c’era spogliatoio maschile o femminile, era solo maschile, ed io mi dovevo cambiare insieme ai miei colleghi. A me non importa e non è importato, l’anatomia umana è quello che è, ma a posteriori mi rendo conto di quanto fosse ingiusto mettermi in quella situazione. Al tempo non mi sembrava neanche una cosa assurda, avevo 23 anni e stavo iniziando una nuova avventura, volevo dimostrare che ce la potevo fare. I miei colleghi uscivano per farmi cambiare, avevano rispetto.

Nel tempo ho capito che certe cose non devono essere accettate, che era sbagliato il principio. Per fortuna però ho sempre lavorato con persone fantastiche. 

Camilla Pistacchi, il piacere del convivio

Camilla c’è uno chef che ha ispirato il tuo percorso in cucina?

Non ce n’è uno in particolare perchè mi piace la cucina etnica. Prendo spunto da Instagram. 

C’è stato un collega, Guido, che mi ha forgiato a livello umano, però non ho chef particolari che mi hanno ispirato. Non mi è mai interessata la cucina a 5 stelle. Forse è una mia pecca, ma sono poco competitiva. Per me la cosa più importante è la socialità a tavola, fare felici i miei ospiti.

A casa cucini o quando torni non vuoi vedere le pentole neanche da lontano?

Cucino solo per i miei amici, per la mia famiglia no. Quando ho amici a cena o mi vengono a trovare in campagna mi piace molto mettermi ai fornelli. 

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