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Giuliano Manfredi Stramacci e l’emozione di far bere il proprio vino

Giuliano Manfredi Stramacci è un imprenditore eclettico ed intraprendente, alla costante ricerca di conoscenze e mezzi che gli permettano di rendere il suo vino speciale. Tradizione ed innovazione sono i principi cardine della sua azienda Tellenae, situata nella zona collinare del Divino amore a Roma. L’obiettivo principale di Giuliano è quello di trasmettere un’emozione a chi assapora un calice del suo vino, affinché quel ricordo si stampi nella mente del cliente e lo fidelizzi.

Abbiamo chiacchierato con Stramacci, che ci ha raccontato come quel bimbo che seguiva il nonno nei campi sia diventato un imprenditore di successo.

Giuliano Manfredi Stramacci: l’emozione di produrre e bere vino di qualità

Ciao Giuliano, ci parli di te? Come è nata la tua passione per il vino?

Sono nato e cresciuto al Divino Amore, nel parco dell’Appia Antica. I terreni ed i vigneti erano di mio nonno. Fin da piccolo lo seguivo come un’ombra, stavo sempre con lui. Nonno non produceva vino, produceva solo uve. Crescendo mi sono occupato della vigna insieme a lui, di seguire i lavori, di fare le vendemmie. Sin da piccolo i miei genitori mi hanno spinto ad essere presente all’interno dell’azienda di famiglia.

Ad un certo punto ho realizzato che la produzione di uva non consentiva all’azienda di crescere e di far sì che si mantenesse nel tempo. La voglia di poter tutelare il paesaggio e la bellezza dei vigneti mi hanno spinto a creare il Tellenae.

Le aziende agricole floride sono un bene per la comunità in quanto il paesaggio agricolo risulta curato e manutenuto inoltre creano posti di lavoro. Purtroppo questo concetto vicino ad una grande città come Roma non viene considerato in quanto i terreni agricoli del comune di Roma e limitrofi sono spesso di proprietà di costruttori o persone benestanti che quindi non hanno necessità di vendere e il loro unico interesse è quello in un cambio del piano regolatore (P.R.G.) con la trasformazione da terreno agricolo a terreno edificabile in modo da poterne trarre un maggior vantaggio economico.

A mio avviso, questo modus operandi va a discapito della collettività in quanto oggi Roma ha intere zone lasciate al degrado, palazzi occupati, appartamenti sfitti…serve quindi una rigenerazione urbana che possa andare a ristrutturare tutti quei tessuti della città che oggi non sono attrattivi, non serve quindi consumare altro nuovo suolo agricolo.

La candidatura di Roma ad Expo 2030 vede proprio come mission quella di andare a recuperare una parte della città, speriamo bene!

Come è nata Tellenae?

Tellenae è nata nel 2015, è stata la mia prima annata. I vigneti spaziano dai 25 ai 65 anni di età. Nella prima annata abbiamo prodotto 1330 bottiglie, ma non abbiamo vinificato l’intera superficie, ne abbiamo vinificata solo una piccola percentuale. Di produzione, attualmente, potremmo arrivare fino a 120000 bottiglie ed ho in programma di aumentare la superficie vitata. Si andrà a crescere.

Nel 2020 abbiamo prodotto 10800 bottiglie. Dal 2015 ad oggi siamo cresciuti di quasi 10 volte, e in questa esperienza uno dei dati che abbiamo riscontrato è che il nostro è un vino che si presta molto bene all’invecchiamento. Spesso nella cultura italiana si pensa che il vino bianco non regga l’invecchiamento, invece devo dire che in realtà i sommelier hanno ormai sfatato il mito. Il nostro vino si presta molto bene all’evoluzione in bottiglia. Bevuto appena uscito è un bel bere, ma se si lascia affinare in bottiglia l’evoluzione è molto interessante. La prima annata, 2015, ancora oggi non ha visto una fase di declino.

 

Il futuro di Giuliano Stramacci, tra ingegneria e vino

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Tellenae crescerà?

La commercializzazione è seguita totalmente da me e scegliamo solo determinati tipi di ristoranti. Produrre vino e piazzarlo un po’ ovunque sarebbe facile, ma abbiamo un prezzo importante, e abbiamo come target di riferimento ristoranti stellati, di un certo livello, o trattorie ma dove ci sia un sommelier. Si sta crescendo velocemente, ma tenendo sempre presenti e salde le nostre linee guida. C’è cura del dettaglio dalla produzione in vigna fino al packaging ed alla commercializzazione, non lasciamo mai nulla al caso, sempre nell’ottica di poter soddisfare il cliente a 360 gradi.

Su Roma non delego nessuno. Chi meglio del produttore può spiegare il proprio prodotto? Il mercato romano è importantissimo. Per esempio, alcune aziende del nord Italia fanno l’80% del fatturato su Roma. E’ una città fondamentale per moltissime aziende vinicole, è grande, piena di gente ed è ricca.

Sei ingegnere e produttore di vino, ma quale di queste due è la tua vera passione?

Entrambe. Il vino è molto più divertente, perché lavorando nell’alta ristorazione, il lusso poi ripaga, si entra in contatto con tutte persone altamente formate che hanno la capacità di riconoscere i prodotti e dare il giusto valore. Per me non è lavoro, è divertimento. Sull’ingegneria spesso non accade perché si guarda il preventivo, non c’è il confronto tra la bontà dell’esecuzione e la progettazione. Quasi sempre ci si sofferma solo sul preventivo. Non sempre si riesce ad avere clienti che ci possano gratificare.

Quindi pensi che continuerai a lavorare in entrambi i campi?

Francamente non te lo so dire, quello che sto facendo a livello di ingegneria è selezionare i clienti con molta cura e tenermi solo coloro che sono interessanti e che possano riconoscere che magari si paga qualcosa in più ma si ha un prodotto migliore. La stessa filosofia vale nel vino. Portando avanti entrambe le attività ho la libertà di scegliere con chi lavorare.

Di lavoro per gli ingegneri ce n’è, ma se si vogliono fare lavori di costruzione seri bisogna uscire dal paese. Non è che di per sé l’Italia non offra opportunità, è che fondamentalmente non siamo un paese in via di sviluppo. Le autostrade, i ponti…si fa qualcosa ma bisognerebbe fare molta manutenzione, cosa che non viene fatta. L’abbiamo visto col ponte di Genova che è crollato. Si fanno anche tante opere che rimangono incompiute. Per non parlare della retribuzione.

Stessa cosa avviene con il vino, se hai un target basso, o fai tante bottiglie o sarai sempre costretto a non avere margine di guadagno. Il target basso non ti gratifica, non ti valorizza, non si ricorderanno di te. Questo è il grande problema.

Il vino deve trasmettere emozione

Cosa fa la differenza nel vostro vino?

Se produci vino di alta qualità lo fai per trasmettere un’emozione. Il tuo obiettivo è che il consumatore prenda quella bottiglia e si ricordi del tuo vino. Non con tutti ci si riesce, ma con una buona percentuale sì. Ho notato che sotto Covid i clienti dei ristoranti, che chiaramente non potevano più frequentare i locali dove andavano di solito, hanno ricercato il nostro vino sul sito. Abbiamo così compensato il fatturato del vino che non è stato venduto ai locali, vendendo a clienti privati.

Chi erano gli acquirenti? Coloro che frequentando i ristoranti avevano provato un’emozione, il vino aveva fatto sì che venisse trasmesso loro qualcosa di talmente positivo da spingerli a cercarlo nuovamente.

In che modo il Covid ha avuto impatto sulla vostra azienda?

E’ stato un impatto che ha chiaramente cambiato le regole. Non vendevamo più ai ristoranti, ma al cliente privato. Il fatto di avere un sito internet è stato fondamentale perché è stata la vetrina della nostra azienda. Il Covid a livello economico non ci ha dunque creato problemi. Come azienda non abbiamo chiesto aiuti perché il fatturato è rimasto quello. L’ammanco è stato compensato dai clienti privati. Abbiamo fatto sicuramente una buona pubblicità tramite i social e la mailing list, ma tutto sommato non abbiamo risentito delle chiusure.

Il Covid ha intaccato quelle cantine che andavano produrre vino di fascia bassa, “da battaglia”, e lavoravano solo con la ristorazione. Si sono ritrovati fuori dal commercio.

Ricordi d’infanzia, tradizione ed innovazione

All’inizio della nostra chiacchierata, mi hai raccontato che è stato tuo nonno a farti scoprire la passione per le vigne. Quale è il ricordo che più ti lega a lui?

Mio nonno non produceva vino, ma sarebbe stato davvero contento se avesse visto cosa siamo riusciti a realizzare. Sarebbe stata una bella soddisfazione per lui.

Ci legava il mondo della vigna. Ero piccolino, avrò avuto 3 anni, mi alzavo dal letto con il lenzuolino che mi portavo sempre dietro ed andavo a cercare nonno. Lo trovavo sempre nelle vigne, dove sono i trattori. Mi portava sui trattori a fare le montagne russe sulle colline. Era molto divertente, un bel ricordo.

Un’altra cosa che mi piaceva tanto era girare con lui per i consorzi agrari. Lì c’erano tantissimi prodotti, anche i trattori, ne abbiamo comprato uno insieme.

Mio nonno e mia nonna mi hanno cresciuto, perché i miei genitori erano sempre a lavoro durante il giorno. Si occupavano della vigna solo durante il weekend, il loro lavoro era un altro.

Come hai imparato a destreggiarti nel mondo del vino? Te lo ha insegnato tuo nonno?

Mio nonno è morto nel 1994, avevo solo 8 anni purtroppo. Gli insegnamenti maggiori li ho scovati nei libri di agraria ed in parte li ho ricevuti dai miei due zii (di cui uno è agronomo). Vengo da una famiglia che produce uva dagli anni ’30, crescendo me ne sono sempre occupato, ma se non hai un assetto mentale volto alla biologia, alla chimica, alla fisica, sei limitato, fai sempre le stesse cose in vigna. Io voglio spaziare, fare altro, migliorare. Si migliora solo studiando. Per fare un buon prodotto bisogna studiare tanto.

Alla facoltà di ingegneria avevo già avuto modo di avvicinarmi a queste materie, poi ho comprato dei libri universitari di agraria e ho studiato il resto: fitopatologia, biologia vegetale…continuo a studiare anche oggi. Studio molte ricerche pubblicate dalle Università inerenti al mondo vitivinicolo e provo ad applicarle in vigna per raggiungere un maggior risultato in termini qualitativi. Devi cercare di essere padrone della tua materia, per compiere azioni che – con un margine d’errore basso – ti portino al risultato che vuoi ottenere. Le tecniche sono cambiate e si sono evolute negli anni, non ci si può sempre attenere alla tradizione: non sempre quello che facevano i propri nonni oggi è considerato corretto.

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