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I pastori abruzzesi sono arrivati al Pigneto! Ecco chi li ha portati.

Per arrivare in Abruzzo da Roma ci vogliono circa due ore di macchina. Oppure il tempo necessario per arrivare dalla propria casa al Pigneto. Eh si, avete letto bene. Questo perchè Angelo Del Vecchio, con l’apertura di Pastorie, ha portato la sua terra nella capitale. Piatti, suggestioni, iconografie, balle di fieno. C’è proprio tutto. Tutto l’amore per il suo Abruzzo nel locale di cui mi ha parlato.

Io volevo restituire qualcosa alla mia regione partendo dalle mie radici. Poi volevo restituire qualcosa a quell’ imprinting, a quell’educazione per il cibo che ho ricevuto dai miei genitori. Pastorie è inteso come “storie di pasto” e “storie di pastori”. É un tributo alla pastorizia. Storie intese come antiche, presenti e future. Storie di Pastori, contadini, pescatori, vignaioli.

Pastorie
Foto di Alberto Blasetti

 

Sei sempre stato nell’ambio della ristorazione?

Io ho una formazione artistica, ma sono stato educato e cresciuto con il cibo. I miei genitori, anche in tempi non sospetti poichè negli ultimi anni è diventata un po’ una moda parlare di cucina, mi hanno educato attraverso quello che mangiavamo. A casa mia parlare di cibo era una cosa serissima. Nel senso che mi hanno fatto sempre vivere il mangiare, tra virgolette, come un atto politico, una scelta. Non mi hanno parlato delle ricette, ma di chi e quanta fatica ci fosse dietro. Si facevano anche dei viaggi sempre incentrati sul cibo. Mio papà viene da una famiglia di contadini ed ha questo imprinting qua. Mia madre è un’ottima cuoca e allo stesso tempo mi hanno educato e trasmesso l’amore per la terra.

 

Come nasce l’idea di Pastorie?

Nasce dall’esigenza di ritrovare e tutelare un nostro tratto distintivo. Senza la trattoria o un certo tipo di ristorazione, veniamo meno, diventiamo labili. Non possiamo pensare sempre e solo di inseguire i tempi che corrono, perchè perderemmo la nostra identità. Le botteghe, insieme a un certo tipo di ristorazione “fanno” l’Italia. Questo non significa “non contaminarsi”, pensa al piatto simbolo italiano: spaghetti al pomodoro e basilico. Contiene ingredienti le cui origini non sono italiane.

Però dobbiamo preservare i nostri tratti distintivi altrimenti non ci riconosciamo più. Finiremo per non sapere più chi siamo e dove andiamo. Un paese, una comunità, un essere umano senza la propria identità non sa più chi è. Questo significa guardare al futuro secondo me. Se si vuole essere internazionali bisogna partire dal proprio paese, raccontarlo, tramandare le proprie tradizioni e tutelare le proprie radici. Un albero senza le proprie radici, cade.

 

Zuppa Pastorie
Foto di Alberto Blasetti

 

Racconti l’Abruzzo non solo attraverso i piatti, ma anche attraverso la scenografia del locale. Come mai questa scelta?

Ho voluto ricreare un’ambientazione di fortissimo impatto evocativo: una stalla. Ognuno di noi quando ci entra prova immediatamente una sensazione di pace. Questo accade perchè è stata la nostra casa per millenni. La stalla era un luogo sacro, un luogo caldo, dove si nasceva e si faceva nascere ed era il luogo delle feste. Era il luogo dove si accoglieva qualcuno in visita. L’ospite in campagna era sacro e si tirava tutto il meglio del cibo per onorare i momenti di condivisione. Ho cercato di ricreare una stalla in questo senso: un rifugio pacato all’interno del caos cittadino, un respiro pacato dopo l’affanno della città.

Poi ci sono dei riferimenti con dei pittori del ‘900 come Palizzi, Celommi, Francesco Paolo Michetti. Veristi che hanno raccontato e denunciato la drammaticità di chi seminava per raccogliere un futuro migliore. Raffiguravano il duro lavoro che facevano le donne in campagna e dei contadini per sostenere la propria famiglia, tutelando con queste opere una dignità oltre che un territorio.

 

Hai parlato del tuo progetto con Marcello Spadone, mi racconti com’è andata?

Diciamo che io ho cercato di parlare un po’ con tutti i ristoratori abruzzesi. Mi sono confrontato con lui, con Peppino di Villa Maiella, ho chiesto pure a Niko Romito… La cosa principale era condividere con chi ha più esperienza. C’è da dire che tutto quello che sono le materie prime e il tipo di cucina che viene fatta, passa attraverso quella che è la mia non-preparazione, perchè non ho una formazione in merito.

Però sono stato fortunato perchè mia madre è un’ottima cuoca. Non dico solo in senso casalingo: mia madre impiattava vent’anni fa come fanno gli chef stellati oggi, quindi sono cresciuto anche con l’idea della bellezza del cibo. Come diceva Gianni Masciarelli, mi ha dato un ottimo palato. Attraverso questo io cerco di “standardizzare” la cucina che faccio per poterla replicare con la squadra che ho. Quindi prima mi studio quello che voglio fare e arrivo a capire come ottimizzare il tutto in termini di spazio e tempo. In modo che qualsiasi persona, anche chi sta in sala, possa replicarlo. Non è che poi accade, però mi piace organizzarmi così. 

 

 

É limitante rimanere nel perimetro della tradizione per quanto riguarda la cucina?

Io parto dalle mie radici, poi la cucina è sempre un confronto con altro e con l’Altro. La cucina è fatta da contaminazioni, quindi parto da ciò che conosco, le mie radici, ma è sempre un confronto a cielo aperto. É sempre qualcosa che va oltre, e secondo me non c’è maggiore creatività che nasca all’interno di un perimetro più ristretto. Nel momento in cui si parte all’interno di un cerchio per creare, si hanno spunti maggiori quando si ha una restrizione del campo.

 

Ci saranno degli sviluppi o progetti futuri?

Questo tipo di locale nasce anche dal fatto che volevo un ristorante che fosse conviviale proprio come lo erano le frazioni di campagna dove si facevano i banchetti, i matrimoni, le feste… Volevo che ci fosse la convivialità sacra del cibo anche con i tavoli sociali. Ricreare quindi un discorso di aggregazione, ma essere rigorosi nella cucina quanto un ristorante che punta al massimo. Nella pandemia ho rielaborato e riordinato delle idee e ne ho avuta una che vorrei fare al più presto, in contrapposizione a Pastorie, ma che sempre una “pastoria” è.

Mi è venuto in mente questo entrare in un luogo dove ci sono dei pannelli che ricreano delle stanze con un’ambientazione studiata ad hoc, come se fosse una scenografia. Si entrerebbe massimo due alla volta e ci sarebbero dei suoni, colori, profumi all’interno di questa stanza ricreata. Tutto per enfatizzare quello che trovi nel piatto all’interno della camera, quindi non ci sarebbero camerieri a servirti.

Quando finisci il piatto entri nella stanza successiva, dove c’è un altro piatto ad aspettarti. Alla fine di questo percorso, i pannelli calano e ti accorgi di essere insieme ad altri che hanno condiviso con te la stessa esperienza. A quel punto sta a te fare una “pernacchia” o un applauso allo chef. In tutto questo però avrai vissuto l’esperienza del mangiare da solo, senza contaminazioni che possono infastidirti.

Poi riguardo a Pastorie, il locale ha un miliardo di applicazioni diverse: potrebbe diventare solo gelato con tre tipi di latte diverso, potrebbe diventare in un angolo di un mercato di New York piuttosto che di Londra, solo arrosticini presentati come un bouqet di rose insieme a delle bollicine. È un punto zero che offre un excursus per fare un po’ di tutto.

 

Piatto di mare Pastorie
Foto di Alberto Blasetti

 

Ultima domanda. Lasciami un bella immagine del tuo Abruzzo.

Una in particolare è difficilissima sceglierla. L’Abruzzo funziona un po’ così: nel momento in cui tu inizi ad entrare all’interno dell’entroterra abruzzese scopri degli scorci meravigliosi. Questa è la cosa più bella: devi entrare più in profondità per scoprire esattamente cos’è e questa è un po’ la metafora della vita secondo me.

Noi negli anni ‘70 abbiamo avuto degli abusi edilizi pazzeschi e da fuori non appare bello. Entrando dentro, quando incontri delle realtà incontaminate, selvagge, ti rendi conto del fascino che ha. Perchè è struggente e ti sorprende: dalla Rocca Calascio, a un semplice pranzo su un Trabocco o il passeggiare per i vicoli di Santo Stefano di Sessanio. In macchina quando ti perdi nell’entroterra abruzzese scopri degli scorci che non credevi potessero esistere all’interno della regione. Questa è la cosa più bella dell’Abruzzo.

 

Angelo Del Vecchio Ritratto
Foto di Alberto Blasetti

 

 

 

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