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Giorgio Baldari: tra romanticismo e sostenibilità commerciale

Più di trent’anni nella ristorazione, o come direbbe lui “30 anni più la mancia”. Giorgio Baldari si è forgiato nelle cucine di nomi importanti come Antonello Colonna, Angelo Paracucchi e Gianfranco Vissani. Dopo essere stato in giro per il mondo tra Stati Uniti, Spagna e Monte Carlo, oggi è lo chef patron di due ristoranti al centro di Roma, Archivolto e Barbieri 23. Un cuoco eclettico, impegnato, dalla grande esperienza che mi ha raccontato la sua storia e come è cambiata la cucina in tutto questo tempo.

Il mio amore per la cucina nasce intorno a una padella di pop-corn. Avevo 5 o 6 anni e stavo a casa con un cuginetto più grande di una decina d’anni. Mentre lui girava i pop-corn mi diceva “guarda, faccio come uno chef!”. Chiesi chi fosse e lui mi rispose “è qualcuno che faceva da mangiare per gli altri”. Da quel giorno mi sono detto “da grande farò lo chef” e non ho più cambiato idea.

Parlami del tuo esordio in cucina.

Ho bruciato le tappe e a 50 anni posso dire che ho imparato molto dalla strada. A 15 anni andavo la mattina a scuola all’alberghiero e la sera stavo nelle cucine. Mi è piaciuto tanto ‘sto lavoro che dopo tre anni di alberghiero ho deciso di non perdere più tempo sui banchi di scuola. Che sia chiaro: non esorto nessuno a farlo. Anzi, col senno di poi vorrei andare a fare l’università adesso.

Da lì ho cominciato a fare le stagioni estive, poi sono stato nel mondo del catering e mi sono ritrovato con Vissani allo Zio d’America a Talenti.
Tramite un allievo più grande di me conobbi Antonello Colonna, il quale mi portò alla Certosa di San Giacomo e in seguito negli Stati Uniti. Avevo vent’anni e rimasi stupito del livello di macchinari, di libertà mentale che avevano. Un giorno la titolare della Certosa mi chiese se volevo prendermi la responsabilità del locale, quindi tecnicamente di “far fuori” Colonna. Chiedo perdono a lui, ma vent’anni non ci ho pensato più di tanto.

All’epoca, la penna gastronomica di Umberto d’amato, titolò su un trafiletto del giornale “A Capri l’enfant prodige”. Erano gli anni in cui a Roma non era iniziata la moda del cacio e pepe e io conquistai d’Amato proprio con quel piatto.

 

Archivolto ristorante Giorgio Baldari
Foto di Dario Borruto Photography

 

In tutto questo tempo com’è cambiata la cucina? In meglio o in peggio?

Per chi fa cucina veramente non è mai cambiata, anzi è migliorata. Siamo diventati più coscienti delle risorse che ha a disposizione un cuoco. Trent’anni fa il parmigiano era solo “parmigiano”. Successivamente è uscito il 24-36-48 mesi. Prima compravi “la carne”, non andavi a cercare la capra Girgentana, la vacca Grigio Alpina ecc…

Il bene dei comunicatori è stato far scoprire la ricchezza sui quali sedevamo. La cucina è migliorata con la ricerca degli ingredienti. Per esempio: tutti a Roma si giocherebbero la strada di casa per chi fa la migliore cacio e pepe, ma pochi eletti che a volte non vengono capiti perdono molto tempo nella ricerca dei 3 ingredienti: un super spaghetto, uno stratosferico pecorino e un esotico pepe. Tutti parlano della mano, della cremosità, cose sacrosante, ma per un cuoco, scontate. Come alzi il livello di una cacio e pepe? La tecnica è la tecnica. Puoi sperimentare, ma quello che rende contundente un piatto è la ricerca dell’ingrediente.

Il miglioramento della gastronomia da trent’anni a questa parte, lasciando perdere i romantici spadellatori o i futuristici cucinieri di buste di plastica a temperatura bassissime, sta nel fatto di chiedersi cosa si sta trasformando. Questo è quello che fa la differenza oggi.

 

Crudi di mare Giorgio Baldari
Foto di Dario Borruto Photography

 

Arriviamo alla tua cucina, quella di Archivolto e Barbieri 23

Da Barbieri 23- Enoteca e laboratorio è una sfida. Non abbiamo una cucina, ma un loculo di 8 metri quadrati (compreso pure il lavaggio) dove, però, non ci facciamo mancare niente. Siamo molto limitati nella trasformazione, quindi è tutto un lavoro di selezione. Troviamo i produttori più bravi che si possono trovare e in Italia ce ne sono a bizzeffe ed è un peccato non rappresentarli tutti.

Archivolto era una cucina della memoria. Purtroppo c’è stato il Covid e ha avuto la sfortuna di essere stato aperto solo tre mesi. Ora ho dovuto fare una scelta più commerciale.
É bella l’immagine dello chef romantico che cucina per il suo piacere, ma non è veritiera. Lo chef deve cucinare per il piacere del cliente e a volte questo impone uno standard di ricerca che si allontana da quello del cuoco. Oltretutto io soffro essendo al centro di Roma perchè non faccio cacio e pepe o amatriciana.

Quindi non sempre la qualità paga…

No. Assolutamente no. Se io turista vengo a Roma una o due notti, la prima sera cerco una carbonara, la seconda una pizza, la terza notte del fine-dining non ci sono più. Perchè questo tipo di turismo ti ha spinto in un’altra città. Solo in una una vacanza di cinque giorni, può darsi che ci rientrano pure i miei locali.

Come sta andando questa ripartenza dopo la zona rossa?

É una ripartenza a macchia di Leopardo. Siamo nella zona più bella di Roma, ma anche la più sfortunata. Non avendo il turismo di prima del Covid, oggi la gente sta al mare. Il venerdì sera Roma-centro sparisce, mentre nella prima periferia lavorano tutti, perchè si scende al ristorante sotto casa a mangiare. È una ripresa perchè dopo la violenza di averci chiusi tutti arbitrariamente vogliamo credere e fare il nostro lavoro, ma i numeri non sono eccezionali. Lo stiamo facendo sicuramente in perdita. Stiamo a bagnomaria nella speranza che a settembre e ottobre ci siano tempi migliori.

Risotto Giorgio Baldari
Foto di Dario Borruto Photography

Per quanto riguarda la tua esperienza da docente di cucina?

Anche lì mi sono accorto che facevo parte di un ingranaggio non proprio veritiero. Ormai fare il cuoco è diventato di gran moda. Una volta fare il cuoco era un po’ come fare il carabiniere. Le scuole, tutte, sono operazioni commerciali che fanno leva sulle ingenuità di tanti ragazzi che vedono un programma in televisione e cercano una via breve, una scorciatoia. La cucina è tanto diversa. Bisogna ricordare che cucinare per qualcun altro è la traduzione di una sostenibilità commerciale e non basta usare l’ingrediente più esotico e trasformarlo nella maniera più strana possibile. Si, è uno dei lavori più romantici del mondo, ma il risvolto commerciale è quello che ti fa o non ti fa volare.

Hai parlato di voler fare l’università. Dove ti iscriveresti?

Mi piacerebbe fare sempre qualcosa sempre in ambito enogastronomico. Non so se all’università offrono corsi di laurea in questo campo. Con un po’ di presunzione credo che una laurea me l’abbia data la vita e l’esperienza. Prima che qualcuno me la dia Ad Honorem, vorrei cercare di conquistarmela io! Forse è un effetto Peter pan dei miei 50 anni. -Ride-

Giorgio Baldari Marco Mezzaroma
Foto di Dario Borruto Photography

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